Il principe di gran casato e il re della scena comica: Antonio de Curtis e Totò
Nello specchio che “parla in faccia” e ,quindi, non ha peli sulla lingua secondo l’inimitabile filosofia napoletana, dialogano quotidianamente un Principe d’alto lignaggio e un impareggiabile Maestro della scena comica, che non va confusa con quel San Carlino identificato da una nota canzone nei teatrini quotidiani e perpetui dei vicoli e delle piazze della nostra città.
Il primo, nobile per natali e sentimenti, segnatamente austero, si autoproclama infatti “serio”, quando con profondo sentire affronta la vita, valutandone il senso tra valori e vizi umani. Nella consapevolezza, inoltre, dei titoli nobiliari, che responsabilmente onora, si trova di fronte un attore, mimo eccezionale, la cui impareggiabile comicità ha fatto storia e continuerà a proporre modelli di sferzante ironia per deridere la vanità che illude i miseri mortali.
Il malcostume continuerà ad essere fustigato, secondo i detti memorabili del Principe del Sorriso e ridicolizzerà l’inestinguibile saccenza degli ipocriti, gretti e supponenti che, nei giorni di tutti, difettando di umanità, prendono le distanze dalla comunità sociale e pertanto meritano di essere beffeggiati a distanza ravvicinata, coram populo.
Il Principe e il Guitto di cui parliamo non sono gemelli monozigoti, eppure hanno le medesime fattezze: addirittura vien dato di supporre che l’immagine riflessa sia tanto spudorata da mettere in imbarazzo il titolato di illustri natali,che, nei duri anni dell’infanzia e dell’adolescenza, non abitava con lui, quando tra i poveri dei vicoli alimentava il sogno di chi avrebbe voluto vivere in una famiglia regolare ed agiata. Le “dimensioni” del principe non si sovrapponevano quindi a quelle di un umile creativo fattosi da sé, addirittura incompreso e osteggiato, anche quando mostrava bravura da vendere, dalla critica ottusamente miope, poco propensa ad abbattere le facciate dei vari perbenismi di città e di paese.
Nei vicoli affollati non accadeva, perché in quelli, chi combatte il malcostume suscitando il l’ironia contagiosa, si propone come esempo di coraggio. La miseria non è servile se non è avvilita; anzi a quel punto è poco tollerante: diventa giustamente rabbiosa e pronta alla rivolta, perché è chiamata a resistere.
Il benché minimo accenno alla spocchia,finisce, prima o poi, ad essere castigato con uno sberleffo: a un appropriato soprannome, antico o coniato di fresco, ma sempre connotativamente caustico e spesso amplificato da una voce stentorea, segue un sonorum cachinnum, un marchio inequivocabile, una pernacchia come quelle la cui ricetta Eduardo tramandava ai suoi solerti discepoli.
Il Principe dava la misura esemplare di come si dovrebbe vivere, imparando ad apprendere per diventare maestro di comportamento. Il Guitto educava al buonsenso, a non avvilirsi, a rispettare l’amore, a beffare quelli che con la prepotenza imponevano la cavezza.
Il Principe abitava con il Guitto geniale che gli procurava da vivere ed era relegato in cucina. Non sedevano alla stessa tavola, ma erano accomunati nell’impegno sociale e nella difesa dei valori democratici, che rappresentano la loro scelta di campo. Il Principe non dimenticò mai i poveri del Quartiere in cui era nato e di notte faceva della beneficenza anonima, memore delle antiche sofferenze dell’Artista che gli procurava i mezzi di sostentamento, Intanto l’Attore e non si prendeva delle confidenze con quell’altro, da lui generato, cui aveva dato vita, pur avendo la stessa età. Nacquero nel medesimo giorno, alla medesima ora e si fecero immortali, fondendosi infine per mai scindersi più. Nella Poesia, che tutte le arti accomuna, il Principe Antonio de Curtis e il se stesso Totò, che gli dava da vivere, erano veramente non confusi e non divisi: Non sedevano alla stessa mensa,ma animati dai medesimi sentimenti, discutevano dei casi della vita e dell’amore e insieme scrivevano versi, tracciavano ritratti psicologici,inventavano personaggi, coglievano l’interiorità umanissima dei loro protagonisti sulla scena del Teatro del Mondo. Nella ritrovata unità dell’io e de se stesso Totò amatissimo è più che principe plurititolato: il vero re della risata è signore dei sentimenti, nostalgico, malinconico, onesto, vendicatore dei torti, pensoso protagonista delle scene dominate senza rispettare i copioni. Il grande poeta, costruttore d’umanità, domina la sua Città nelle dimensioni del mondo. La sua bombetta connotativa è testimone della sua presenza sempreviva nella nostra storia che s’infutura.
Angelo Calabrese