Luca Nocerino: un giovane scultore esperto di bottega e d’accademia
Luca Nocerino, 35 anni, napoletano. Figlio d’arte, il nonno cesellatore, il padre scultore, una storica bottega ai Ponti Rossi, la LUC di Nocerino, dove da sempre si realizzano sculture e monumenti in bronzo attraverso la tecnica della fusione a cera persa.
Luca ha raccolto in sé i semi sparsi dalla sua famiglia vivendo l’Arte a tutto tondo: per dote innata disegna, scolpisce, dipinge, fotografa e già da diversi anni si dedica con passione ed entusiasmo all’insegnamento di tali discipline, perché un vero artista sa quanto sia importante trasmettere alle nuove generazioni.
Ha già fatto tante cose; si era già distinto quando era allievo all’Istituto statale d’Arte “Filippo Palizzi”, dove i suoi lavori vennero riconosciuti validi e originali, ricevendo nel 2003 il Premio Palizzi, dedicato a chi opera a Napoli per Napoli, per essersi distinto per le sue capacità artistiche manifestate nelle attività di sezione.
Ha partecipato a collettive artistiche fin da quando era allievo presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, indirizzo scultura, cattedra del prof. Ciriaco Campus, imponendo un suo stile personale. Negli anni ha realizzato numerose fuioni in bronzo di medie dimensioni che gli hanno consentito di ricevere riconoscimenti e numerosi primi premi, collocandosi anche al primo posto in molte edizioni del Premio Fabrizio Romano. Negli anni di formazione ha frequentato la bottega artistica di famiglia, collaborando alla realizzazione di importanti commissioni di sculture e monumenti in bronzo, attualmente collocate in Campania e fuori regione. Ha realizzato sculture di scena, in metallo fuso, per il film “Vitriol” e il docufilm “La voce del sangue”, diretti del regista Francesco Afro De Falco, riproducendo, in particolare, in scala reale, il “Cristo Velato” di Giuseppe Sanmartino, presente nella Cappella Sansevero a Napoli.
L’associazione Fabrizio Romano Onlus, che ha seguito questo giovane artista fin da quando era allievo del Palizzi, lo ha intervistato perché ripercorresse le fasi salienti della sua formazione e desse testimonianza degli approdi più recent.
Com’è nata la collaborazione con Francesco Afro De Falco?
Io e Francesco abbiamo studiato insieme al Palizzi di Napoli, frequentavamo l’Istituto d’Arte ma in classi diverse. Poi ognuno ha intrapreso il suo percorso: io ho continuato con l’Accademia di Belle Arti per specializzarmi in scultura, da sempre la mia passione, mentre lui ha approfondito nel campo cinematografico, specializzandosi fino a realizzare numerosi lavori cinematografici di rilievo. Grazie a lui mi sono affacciato al mondo del cinema in veste di scultore. Condividiamo la stessa idea dell’Arte, vissuta con linguaggi differenti. Quando Francesco ha preparato i suoi progetti cinematografici, ha chiesto la mia collaborazione artistica.
Cosa hai pensato quando ti fu commissionata la copia del Cristo Velato?
Pensai che riprodurre fedelmente la statua del Cristo Velato per girare le scene di “Vitriol” fosse un’impresa impossibile per me, soprattutto per la mia giovane età, all’epoca avevo circa 23 anni. È uno dei miei lavori più grandi, ed ho sempre trovato l’originale di una straordinaria bellezza, oltre che un capolavoro di virtuosismo tecnico. Quest’opera marmorea era innanzitutto una delle più difficili da copiare, soprattutto per la velatura del Sanmartino, poi c’erano da superare altri ostacoli, come le grandi dimensioni, la veridicità della copia, la mancanza delle misure della statua nei suoi particolari.
Cosa significa essere figlio d’arte?
Mio padre, Ciro Nocerino, ha una bottega di scultura nella zona antica dei Ponti Rossi, dove c’è l’Acquedotto Romano. Sono nato e cresciuto nella pratica di questo “mestiere”, così come mio fratello minore Marco. Una storia di famiglia: già nostro nonno paterno Gennaro era cesellatore; operando in un ambiente lavorativo ricco di stimoli, ho avuto modo di crescere professionalmente in maniera più repentina rispetto ai miei coetanei. Ho collaborato e appreso le tecniche e i segreti del mestiere da mio padre e da artigiani specializzati come Franco Riva e Mario Russo, che hanno fatto della “scultura in bronzo” la loro vita e che, a loro volta, hanno lavorato con e per grandi maestri della storia dell’arte, uno tra i tanti: Augusto Perez, da me particolarmente apprezzato, tanto da studiarlo in maniera approfondita lungo il mio percorso di studi. In fin dei conti il Cristo è nato su commissione, ma sono così impregnato d’arte che ho fatto tante cose di mio: modello, scolpisco, dipingo, progetto, fotografo e, grazie al mio lavoro di docente, vivo e respiro ogni giorno, attraverso i miei allievi, il profumo della creatività, dell’arte e della scultura, poiché li considero giovanissimi artisti. Mi piace ricordare uno dei miei lavori, commissionato da un’imprenditrice di Portici, da me intitolato “Geven Project” e composto un insieme di quattro sculture di medie dimensioni. Le ho progettate e modellate in argilla e successivamente realizzate in lega di alluminio con il procedimento della fusione a cera persa. Un lavoro realizzato nel 2007 presso la bottega di famiglia, che mi ha dato molte soddisfazioni, perché mi ha reso fin da subito riconoscibile per una mia personale cifra stilistica. “Geven Project” è esposto, in pianta stabile, nella reception dell’azienda Geven, in Campania.
Come definiresti il tuo stile?
C’era un’impronta che fin, dalle scuole medie caratterizzava i miei disegni, forme e simboli che partivano da tracce figurative e si mischiavano a forme appuntite e slanciate. Conservo gelosamente queste testimonianze nel mio archivio. Lo stile scultoreo dei miei inizi era figurativo/simbolico, poi col tempo ho trasformato quei “disegni primordiali” in scultura, ho sperimentato forme contorte , ricche di particolari e ho cercato di sintetizzarle, così come è successo per le opere della Geven, in un certo senso sento di avere dentro una certa ammirazione per il barocco.
Parlaci della tua linea di gioielli.
Durante il mio percorso ho avuto modo di realizzare anche una linea di gioielli. Intrecci, realizzati con la tecnica della microfusione, tipica dell’oreficeria. Oggetti in bronzo lucentissimi, trattati perché questa lucentezza a specchio rimanesse inalterata nel tempo. Ho usato le pietre pochissime volte, perché quello che mi interessa è soprattutto la forma, l’intreccio tra spigoli appuntiti, tanto che spesso diventano difficili da indossare, magari lacererebbero gli abiti: sono più che altro da esposizione.
Parlaci della tua esperienza con la pittura.
Ho dipinto alcune tele, ad acrilico e olio, che riprendono la mia cifra stilistica: forme che rompono, che spaccano, che s’intrecciano ad altre forme, aculei che le penetrano. È questo il fulcro della mia ricerca personale, che sento venire fuori in maniera istintiva. Durante il processo di disegno e di modellazione dell’argilla cerco di dominare la materia e la forma, ma spesso resto soggiogato dal mio stesso istinto, che dà vita ad un processo spontaneo. Veder prendere forma segni e volumi, sotto i miei occhi e nelle mie mani, mi rende autore e al tempo stesso fruitore di un processo mentale. Forse è per questo che non riesco a staccarmi dalle mie creazioni.
Come s’inserisce nel tuo lavoro la ri-creazione del Cristo velato?
Ho realizzato il mio Cristo Velato nel 2008, secondo il programma del regista del film, che invece comparve nelle sale cinematografiche nel 2012. Sebbene mi ritenga un artista non figurativo, mi sono comunque voluto cimentare con una plasticità di tipo accademico per misurarmi, visto che per la mia ricerca personale prediligo forme più astratte. È stata una bella soddisfazione ri-creare nonostante le mille difficoltà un’opera unica, re-inventare quella velatura che fu certo abilità del Sanmartino, ma che venne anche esaltata dalla qualità di quel magnifico marmo e dai segni del tempo. All’epoca ero ancora studente, ero un pò titubante, un’opera troppo grande per me, un impegno gravoso. Per convincermi ad intraprendere questo lavoro, Francesco mi rassicurava che per il suo progetto cinematografico sarebbe bastata anche una riproduzione approssimativa, un oggetto scenografico da inquadrare senza primi piani. Invece, quando ho cominciato a lavorarci, un po’ per la mia natura di perfezionista, un pò per l’occhio critico di mio padre, forse troppo scrupoloso, ma fondamentalmente giusto, ho cominciato a scendere sempre di più nei particolari, divenendo “prigioniero” di quei volumi e di quelle forme marmoree perfette, che cercavo di imitare adeguatamente. A volte sentivo di avere dentro di me un supervisore cui dare conto più che al mio committente; diventavo ansioso e questa sensazione mi spingeva ad una più consapevole attenzione. Mi svegliavo di notte, facevo sogni strani e confusi, ma pian piano la creazione trovava spazio dentro me, diventava sempre più grande, fino a raggiungere quel risultato che me l’ha fatta sentire “addosso”. Una semplice copia si fa con un calco, invece quell’opera l’avevo ri-creata, con la mia propria cifra stilistica, la mia identità, perché l’opera è sempre il medium attraverso il quale il quale l’artista si esprime. Ancora oggi conservo il mio Cristo Velato con grande riguardo; potrei collocarlo in un luogo adatto, sono molte le richieste di collocarlo in sedi prestigiose ma in verità non riesco a staccarmi dalla mia creatura.
Cosa pensi dell’insegnamento?
Insegno scultura al liceo artistico. È fantastico stare con i ragazzi! Ogni giorno è una rivelazione, una scoperta, adoro il mio lavoro, essere docente mi entusiasma dal profondo e sento di poter trasmettere, oltre agli insegnamenti (accademici) anche quei segreti del mestiere, quelle tecniche artistiche che caratterizzano l’arte del bronzo. Durante l’anno faccio in modo di ritagliare dei momenti per mostrare i procedimenti e le tecniche impiegate per realizzare la riproduzione del Cristo Velato attraverso i vari step. I ragazzi ne sono ogni volta entusiasti: lo trovo un modo per trasmettere cultura, per insegnare tecniche tradizionali, per far apprezzare i tesori artistici del nostro territorio e per far capire cosa tratta praticamente la materia che insegno e come si aggancia gli ambiti lavorativi, sia nel cinema attraverso la scultura di scena che nei canali convenzionali. Durante le mie lezioni vedo i miei allievi lavorare con serenità e con passione. Probabilmente, un giovane docente che opera tra giovani allievi fa creare momenti di confronto e di dialogo costruttivo, dove l’arte crea un ponte facilmente percorribile tra le generazioni. Mostrando quest’opera catturo completamente l’attenzione degli studenti e sono sicuro che i miei insegnamenti rimarranno per sempre dentro di loro, perché penso che i giovani vadano stimolati con cose che sentono vicine e con le quali possono misurarsi, che suscitino il loro interesse, adottando metodi innovativi, molto vicini al loro mondo, magari utilizzando al meglio le nuove tecnologie.
Quando insegni, giovane tra giovani, ti capita di essere scambiato per un alunno?
Sì, mi succede ma lo vedo come un complimento, che mi fa apprezzare ancor di più il privilegio di essere docente ordinario alla mia età. Anche se a volte è faticoso, porto avanti parallelamente le diverse attività creative. Oltre all’insegnamento perseguo sempre il mio filone artistico, partecipo a concorsi artistici, tanto che negli ultimi anni sono stato inserito addirittura nelle loro commissioni giudicanti, talvolta al fianco di personalità di spicco come il Critico prof. Angelo Calabrese, come per le numerose edizioni dell’Associazione onlus Fabrizio Romano, che negli anni mi hanno visto passare da partecipante a membro della commissione.
Compatibilmente con gli impegni di docente, quando posso, seguo per passione la bottega di famiglia, la LUC di Nocerino, la trentennale attività di mio padre che, come ho accennato in precedenza, ha rilevato da mio nonno e dove ancora oggi, appunto, portiamo avanti l’arte del bronzo con le sue numerose fasi di lavorazione. Utilizziamo tecniche antiche come quella della fusione a cera persa, del cesello. Realizziamo restauri e lavoriamo con artisti importanti. Si rivolgono a noi per le competenze e il dialogo d’intesa che riusciamo ad instaurare, diventando, come mio padre sostiene, “le loro mani”, rispettando i loro modelli e il loro modo di trattare le superfici di una scultura che, per trasformarsi dall’argilla al bronzo, ha bisogno di numerosi passaggi.
Oltre alle tecniche antiche, siamo sempre pronti a sperimentarne anche delle nuove, con l’utilizzo di resine e cere plastiche. Tra le altre opere importanti, abbiamo realizzato le statue per il museo delle cere “Le Muse”. Per l’occasione, ci siamo avvalsi della collaborazione del maestro Giuseppe Ciolli, scultore di formazione accademica, che considero importante per la mia formazione artistica.
Dove hai trovato il tempo per fare tutte queste cose?
Non lo so, è stata dura negli anni ma non mi sono mai fermato, anche nei momenti di grande impegno ho tenuto duro, molto spesso a fatica, ho fatto cose su cose, spesso ho fatto sacrifici e ho rinunciato ad avere tempo libero per cose meno importanti.
Durante gli anni di formazione perdevo la cognizione del tempo, perché spesso le mie giornate erano scandite dal lavoro in bottega e dallo studio per gli esami accademici. Non è stato semplice trovare la mia strada, ma dopo tanto duro lavoro e tante primavere ho raggiunto il mio obiettivo e ora sento di aver trovato la mia collocazione professionale che tanto ho ambito.
Quando ad esempio ero impegnatissimo con la ri-creazione del Cristo Velato, studiavo parallelamente anche per sostenere gli esami in Accademia, e quando il mio amico regista mi chiese di realizzare altri pezzi necessari alle riprese, sculture più piccole ma anch’esse complesse e in metallo, non pensavo di riuscirle a farle, ero troppo preso dai tanti impegni ma ho rubato tempo al tempo e le ho eseguite.
Tanta fatica, è vero, ma oltre alla soddisfazione artistica, la collaborazione a “Vitriol” mi ha fruttato l’attenzione della stampa con vari articoli sui principali quotidiani. La notorietà si è rinnovata con l’uscita del successivo lavoro cinematografico di de Falco “La Voce del Sangue”, presentato al cinema Astra poco dopo, poichè in quegli anni, a quanto sembra, la mia era l’unica copia del Cristo Velato a grandezza naturale. Ecco perché, a 35 anni, sento di aver realizzato molte cose e, se tornassi indietro, rifarei tutto quello che ho fatto con le mie forze, con lo stesso ritmo, con la stessa energia, con la consapevolezza che non potevo diversamente. Lo ripeto ai miei allievi ogni giorno, quando siamo in classe, perché penso che solo con il massimo impegno si possono raggiungere grandi risultati. Il nostro futuro è nelle scelte che facciamo giorno per giorno.
25.02.2022