Andrea D’Alessio, un giovane talento partenopeo
Andrea D’Alessio è nato a Napoli il 23 ottobre 1991. Ha conseguito la maturità scientifica presso il Liceo “Elio Vittorini” ed ha frequentato la Facoltà di Chimica e tecnologie farmaceutiche. È stato un mio alunno. Ricordo un adolescente molto timido, dalla corporatura alta e robusta, dai grandi occhi cangianti nel verde, assorti nella contemplazione di un profondo mondo interiore. Sorrideva felice, Andrea, quando era vicino al suo grande amico del cuore, compagno di classe, il gemello Mirko, con il quale ha sempre condiviso la comune indole gentile. Oggi Mirko lavora in campo cinematografico ed ho in animo di intervistarlo prossimamente.
Dentro la palese introversione convivevano precise idee e scelte di vita. Parole chiave diventavano fatti concreti ed erano la ricerca delle novità, della pura creatività, tesa ad esprimere l’autenticità del singolo contro ogni moda stereotipa e contro ogni sterile omologazione.
Andrea aveva una particolarità che tutti notavano: si esprimeva con una voce appena sussurrata, caratteristica che ha mantenuto per alcuni anni. Intanto coltivava la sua passione per il rugby, scelto in quanto sport giocato in squadra, fra lealtà e solidarietà da gentiluomini rispettosi delle regole in un preciso codice morale. Altra rilassante attività era il gioco degli scacchi. Non solo, da autodidatta imparava a cantare e suonare il pianoforte con un sogno nel cassetto: fare musica nella vita. Intrappolato nella grande paura di non essere all’altezza, ci sarebbe riuscito? Con emozione mi trovo di fronte un giovane bello e sicuro, dall’acuta sensibilità e gli pongo con rinnovata curiosità alcune domande.
Com’è iniziata la tua carriera artistica?
Sono da sempre appassionato di musica: nel tempo sono stato travolto dal fascino e dalla magia della Beatbox, letteralmente “scatola delle battute”, con unità di misura del tempo musicale, nata a New York a cavallo fra gli Anni Settanta ed Ottanta, il cui padre è Doug E. Fresh. Prevede l’usanza di riprodurre con la bocca i suoni di cassa, piatti, rullante ed altri, incorporati nelle drum machine. In pratica è diventata il mio primo strumento musicale, quando ho incominciato a riprodurre il suono della batteria. Pioniere della Beatbox è Bobby McFerrin, in Italia tra la fine degli Anni Novanta i grandi maestri sono stati DJ Gruff, Kaos One, ed Ice One.
È una musica improvvisata, dunque?
Sì, dai suoni e ritmi umani, inarrestabili, come l’uso dei denti, della lingua, delle labbra, delle guance, della gola, inventati continuamente, senza uno stile definito, ognuno ha il suo. Quando ho iniziato questa sperimentazione, improntata alla cultura hip hop e rap, sempre alla ricerca di nuove formule, non mi sono mai esibito davanti a un pubblico.
Com’è arrivata la svolta?
Nel 2013 i parenti e gli amici mi hanno iscritto ai provini di X Factor Italia dove, sotto la guida di Morgan, che mi ha trasmesso grinta e tanta voglia di fare, sono entrato a far parte del programma arrivando in semifinale. Ho pubblicato il mio primo album singolo Venerdì e poi mi sono ritirato per un periodo a riflettere e scrivere. In seguito ho consolidato la mia carriera artistica grazie a tour e grandi eventi, partecipazioni a spettacoli teatrali e produzioni televisive.
Hai partecipato anche a esperienze cinematografiche?
Sì, nel 2017 ho cantato e portato la mia musica in Ammore e Malavita, pluripremiato film dei Manetti Bros al Festival del Cinema a Venezia. Nello stesso anno è uscito il mio singolo Goodbye, a cui è seguito nel 2018 Un Sogno Non Mente, brani che hanno aperto la strada alla pubblicazione del mio secondo album. Mio fratello Mirko è stato il regista del video del mio singolo Un altro mondo con la Universal, dove le suggestive ambientazioni sono state offerte dalla natura incontaminata di una Basilicata misteriosa.
E le collaborazioni?
Nel 2016 ho collaborato con Clementino, poi con 99 Posse, Ensi, con Into, Arisa, Into, Reset e Giuliano Sangiorgi dei Negroamaro.
Parlami della straordinaria avventura che hai vissuto come vocalist di Renato Zero nel concerto “Zero il folle”.
Mario Biondi, ritenuto il Barry White dello Stivale, già spalla di Ray Charles, mi ha proposto di partecipare a questo progetto, ho fatto parte del coro, i provini sono durati trenta giorni per trentatrè concerti. È stata l’esperienza più forte di tutta la mia vita. È davvero incredibile assistere all’opera dell’artista più rivoluzionario di sempre, vivere nel cerchio dell’energia che emana a settanta anni, vederlo ballare, cantare, saltare per due ore e mezza di fila e stupire il pubblico con gli infiniti modi di porsi. È un uomo molto simpatico, che scrive testi di intensa poesia, nel concerto c’erano anche sfumature di pop orecchiabile con qualche sprazzo di jazz.
Per arrivare a tali risultati, quanto hai lavorato su te stesso?
Tanto e con tante difficoltà. Lavorare su se stessi prevede il percorrere un sentiero a volte lucente ed in discesa, talvolta buio e pieno di ostacoli ma, se sappiamo accogliere i “momenti no”, le lacrime di oggi cadranno domani sui sorrisi fatti di sogni e di immortalità. I miei brani sono testimonianza di questo faticoso scandaglio nel mondo interiore in continua evoluzione.
Abbraccio virtualmente Andrea e gli auguro di continuare con rinnovato impegno il suo luminoso percorso.
24 Settembre 2020