Il turismo come opportunità di una rivalutazione culturale e viceversa

Pizza, spaghetti, mandolino, Sofia Loren e ‘O sole mio.

Lo stereotipo italiano nel mondo appartiene a Napoli.

Negli ultimi anni, prima che il mondo si fermasse nel 2020, la città partenopea ha conosciuto un periodo di forte crescita dal punto di vista del turismo che ha interessato soprattutto i quartieri più popolari, quelle stesse zone, cioè, che più di altre sono legate alla storia e alla tradizione napoletana e che rappresentano, in buona sostanza, la parte più genuina della città. Quando il mondo riprenderà a scorrere e le persone potranno tornare a circolare con più libertà, non c’è ragione di pensare -a priori- che il flusso turistico prenda una direzione diversa rispetto alla tendenza degli ultimi anni.

Si tratta di un’opportunità da non sprecare, un orizzonte da inseguire con una cura e una progettualità che, purtroppo, nonostante i forti segnali positivi, sembra essere finora mancata.

Da un lato, infatti, sono necessari forti investimenti economici e un lavoro di “alfabetizzazione” al turismo rivolto ai privati che -se adeguatamente indirizzati- potrebbero modificare radicalmente il volto e le sorti della città e della sua popolazione. D’altra parte -e questa è la nota dolente- è necessario un enorme lavoro di recupero e valorizzazione del patrimonio culturale partenopeo poiché il turista brama, sopra ogni altra cosa, tutto quel che ha carattere di tipicità, quel che di autentico può trovare solo e soltanto in un posto specifico. Non è un caso, difatti, se al principio di questo articolo sono stati elencati una serie di stereotipi che connotano in positivo l’Italia e Napoli: al di là delle banalizzazioni e della voglia di “svecchiare” l’immagine del capoluogo campano, è necessario porre l’accento sia sull’indotto economico che un’operazione del genere creerebbe, sia sul carattere fortemente identitario di questi elementi.

Tralasciando l’aspetto finanziario, si tratterebbe di un lavoro minuzioso che dovrebbe partire dalla rivalutazione e la riscoperta di aspetti tipici e minuti della tradizione popolare per poi finire con studi che mirino a riconsiderare l’importanza e l’influenza culturale partenopea in Italia e nel mondo. A primo acchito potrebbe sembrare un’operazione dal gusto meramente accademico, ma sarebbe un errore: Napoli è luogo di commistione per eccellenza, una città nella quale ricchezza e povertà hanno sempre camminato fianco a fianco, dove tanto il fine letterato quanto l’artista squattrinato si sono rapportati al popolo minuto e analfabeta in termini di parità e umana compenetrazione. La cultura napoletana, insomma, è un magma nel quale non è possibile distinguere nettamente il contributo popolare da quello “letterato”, è espressione vitale delle sue anime, tutte e tutte insieme in una simultanea compresenza che rende Napoli un unicum nel suo genere.

Una rivalutazione a tutto tondo dovrebbe partire, quindi, da quelle stesse strade che oggi offrono ospitalità ai turisti, quei vicoli tortuosi che s’inerpicano nel cuore della città e che hanno segnato la vita artistica della stessa, andando a recuperarne gli aspetti caratterizzanti e arricchendoli -con misurata accortezza- di elementi attrattivi. E la tradizione napoletana, appunto, è ricchissima di spunti che si troverebbero a proprio agio se immersi nuovamente nel proprio contesto: dalla musica classica napoletana, agli “acquafrescai”, dall’incontro-scontro tra Pulcinelli alla guapparia e la sceneggiata napoletana, dalle reminiscenze boccaccesche al teatro di Scarpetta e dei De Filippo, dall’umana comicità di Totò fino al blues dei giorni nostri.

Gli elementi sono innumerevoli e sono tutti spendibili all’interno di un’operazione di valorizzazione della città e della nostra cultura, con risvolti pratici che costituirebbero un’ulteriore attrattiva, un valore che si andrebbe ad aggiungere e a soddisfare l’aspettativa che il turista nutre in virtù proprio di quella storia che i partenopei dovrebbero riscoprire.

Insomma, Napoli ha un’occasione che non può permettersi di perdere.

Ma sta anche a noi difendere e portare avanti l’eredità partenopea perché sia un punto fermo nel panorama culturale italiano.

Facciamo in modo che accada.

10.11.2020

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