L’Ottocento e la scuola di Posillipo
Se si individua latte per quello che realmente, ovvero un fenomeno di essenza preminentemente concettuale che, appunto perché tale, non può avere soste innaturali o arretramenti teorici, si comprende agevolmente perché, a detta dei pittori aderenti al Romanticismo, il dogma neo-classico si sarebbe presto esaurito. Il verbo diffuso dei registri del Neo-classicismo che tendeva, esasperando l’ideale di perfezione su cui poggiava, a negare praticamente la tipicità di ciascun artista plasmandone la personalità in base a codici prestabiliti, doveva perdere effettivamente molto dello smalto iniziale. Gli storici notano come, una volta appagate le istanze che ne hanno favorito la nascita, ogni corrente artistica finisce per originare una spinta in senso inverso. Nel rapporto evolutivo fra Neo-classicismo e Romanticismo questo non accade. L’artista non polemizza col gusto estetico neo-classico e tantomeno lo rinnega: rivendica semplicemente la propria peculiare creatività, che non può esternarsi fin quando egli resta vincolato a norme che ne assoggettano la fonte, vale a dire, emozioni e impulsi. Si delinea, in tal modo, quella che sarà la caratteristica dell’Impressionismo: la libertà del pittore nei riguardi del soggetto. L’artista cerca di riprodurre il reale scansando le forzature stilistiche del Neoclassicismo e imprime e imprimendo al dipinto solo l’impronta del proprio ente artistico. La nuova corrente si esplica lungo un doppio binario: in senso soggettivo perché si fa interprete dei sentimenti dell’artista e in senso aggettivo perchè raffigura fedelmente il reale nei suoi tipici profili. Una volta ricondotto nell’ottica dell’artista, l’apparente paradosso perde logicamente tutta la sua palese conflittualità. Se in scultura non si uscì da un convenzionalismo di chiara impronta canoviana, in pittura acquisì enorme rilevanza il paesaggio proposto come un vedutismo inedito, di cui si riesaminavano gli aspetti endogeni, sviluppandone quelli maggiormente persuasivi e spontanei. Ciò cui ambiva John Constable era, giust’appunto di essere un “pittore naturale”. Non sempre il naturalismo romantico convince pubblico e critica, ma forti del parere del poeta e grande critico Charles Baudelaire, secondo il quale “Romanticismo non consiste solo nella scelta del soggetto e nella esattezza della verità, ma in un modo di sentire”, gli artisti non se ne danno per inteso. A ogni riserva formulata sulle esasperato individualismo delle sue tele, Turner era solito replicare “Non le ho dipinte perché vengono capite”. Nell’Italia meridionale, lo spirito immaginoso dei partenopei non poteva restare sordo alle stanze del nuovo corso: su iniziativa di un pugno di pittori, si gettarono le basi di quella che -sembra in segno di dispregio- fu definita la scuola di Posillipo”. Qui si accentrano le migliori energie espressive dell’arte napoletana, la cui peculiare estrosità creativa dette altro incentivo al Romanticismo, segnando il definitivo distacco dalla tradizione accademica. La tavolozza fresco e volitiva de ” la scuola di Posillipo”, atta a vivificare sulla tela qualsiasi elemento della natura tramite la giocosità lo contrasti cromatici che caratterizzano da sempre la baia di Napoli, parla sigla lingua: sui validi punti di riferimento possono esser sia la piena adesione di D. Morelli ai valori illustrativo del vedutismo partenopeo, sia la “paesistica d’invenzione” dello Smargiassi, dove temi alla S. Rosa sono trattati con gusto moderno. Ma l’interprete genuino del nuovo verbo pittorico è senza dubbio l’allievo è più versatile di Pitloo, Giacinto Gigante. Appena diciottenne, l’artista riesce a “realizzare” valendosi del proprio sentire, fuori dalle congetture acquisite dall’olandese. Elemento basilare della sua pittura è la luce: ora evanescente, ora nitida, essa trascolora annullando quasi l’essenza delle cose per poi focalizzarne le tonalità più eloquenti. Il “liricismo” che vena la pittura di G. Gigante si esterna secondo i dettami di una sensibilità innata di cui costituiscono anche l’impronta caratteriale. Asserendo che in Gigante è da ravvisare la più incisiva personalità della scuola di Posillipo si prende solamente atto di una verità semplice lineare, immune da inutili incensi e poi sublimazioni. In arte non esiste il sublime, esiste l’umano.