L’indifferenza, alligna nel tempo dell’incertezza
La scrittura costituisce per me un dialogo assiduo con il lettore, tessuto sul silenzio e sulla voce. Ho pensato alla stesura di queste poche pagine con la speranza di poter essere utile per un tema tanto delicato e, purtroppo, endemico nel contesto sociale. L’indifferenza o noncuranza continua a persistere nonostante gli esempi di volontariato . Ormai settantenne, sento più forte il problema sia per esperienza personale sia per quanto ho visto ed ascoltato durante gli anni. Non sono certo esente da errori, lacune, incertezze, dubbi; avrei potuto fare di più e meglio. Pertanto, lungi da me il voler dettare regole e imporre le mie idee. Ho solo voluto esprimere ciò che penso e, specialmente, sento nel mio animo, perché non sono immune, come tanti, del resto, da incidenti o accidenti di percorso di varia natura. Il vivere da sola mi ha sospinta verso tale scelta.
“Non mi importa di quello che accade intorno a me” frase tipica ricorrente. Una specie di indifferenziata dove il distinguere non esiste, dove il soccorrere è da scartare, dove condividere è da rinnegare. “L’altro è pesante, ripetitivo monotono: che ci interessa di lui, pensasse da solo ai suoi bisogni. Se non è in grado, peggio per lui”. Che infinito squallore, quale miseria spirituale, quanta vergogna morale. Si rinfaccia a chi soffre di parlare dei suoi mali, di lamentarsi dei suoi problemi, per la paura che essi vengano scaricati sulle nostre spalle, ad opprimerci, ad angustiarci. Col passare dei giorni le distanze diventano incolmabili, e i rapporti, anche con le persone di famiglia si sgretolano “non voglio ascoltarti, ho da fare, sono già oberata dai miei mali, non voglio sopportare i tuoi”.
Il comandamento Ama il prossimo tuo come te stesso, viene calpestato dall’egoismo, o, meglio, dal qualunquismo di chi ha distrutto le emozioni più delicate, la sfera dell’interiorità, ferita e vilipesa. L’uomo non è una “monade senza porte né finestre” (G. Leibniz), è dotato di intelligenza e psiche, ed è conscio che ogni individuo ha la sua peculiarità e caratteriologia che non meritano insulti, gratuite offese. Va rilevato, invece, amaramente, che un semplice “sfogo” sul proprio stato di salute, anche reiterato (cosa c’è di strano, di allarmante?) viene stigmatizzato come lamentazione, querimonia perché il lessema malattia determina nell’ascoltatore uno stato di agitazione, perché, secondo lui, sottende richiesta di aiuto con gli oneri che ne conseguono.
Ascoltare senza annoiarsi, senza disturbarsi o maledire; offrire, invece, complicità, solidarietà, impeto affettivo. Bisogna insegnare ad amare, a capire che la vita è effimera, fugace, fragile (“Quanto più m’avicino al giorno estremo/che l’umana miseria suol far breve/più veggio il tempo andar veloce e leve”) (F.Petrarca). Un fratello ha bisogno della sorella e viceversa; la madre e il padre devono adoperarsi affinchè si difendano, incoraggino fra loro per rinvenire sempre un punto di incrocio, di contatto edificante. Uno di essi potrebbe un giorno restare solo, per le circostanze del vivere; come ci si comporta allora? Lo si lascia languire, magari dicendogli che non si ha il tempo per dedicarsi a lui (o lei), presi dagli impegni di lavoro, da varie faccende?
“La regola d’oro” : “tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Matteo, 7,12) in quanti la conosciamo, la mettiamo in pratica? Di certo essa è onerosa, richiede sacrifici, rinunce, abnegazione. Lo scorrere poi ineluttabile del tempo aggrava inevitabilmente le vicissitudini dell’esistenza; i malanni aumentano e, insieme, le problematiche, le asperità, le sofferenze. Chi era giovane si ritrova anziano, e chi era anziano si ritrova vecchio; un discorso spigoloso da affrontare. Ma l’indifferente (in genere il non curante) si rinchiude nella sua incongruenza; somiglia a uno degli ignavi del mondo di Dante, che, va ricordato, nel canto secondo dell’Inferno , vv.88-90 recitava : “Temer si dee di solo quelle cose/ch’anno potenza di fare altrui male;/de l’altre no, che non son paurose”.
Molti hanno bisogno di assistenza, di soccorso fisico e morale; invece, si assiste nelle famiglie a tanti litigi, magari, ed è uno degli aspetti più disarmanti, perché il padre o la madre vanno sistemati”, alla stregua di un pacco postale che, sfortunatamente, viene recapitato al parentado. Quale abominevole pensiero ritenere i genitori, le proprie radici, un carico sulle spalle. “Amor con amor si paga,/chi con amor non paga/degno d’amor non è”. L’ha scritta un poeta (forse Petrarca) questa calzante asserzione; per essere amati dobbiamo amare, donarci, senza falsità ed inganni. Le frasi pronunciate per soggiogare, fingere un sentimento inesistente sono un oltraggio, un’onta per il destinatario.
L’indifferente, il non curante, è un anonimo che se ne infischia e basta. Egli è l’immagine deteriore del non essere: La maschera copre/lo spettro del niente/il baratro vuoto/di chi volto non ha/ma chiude i battenti/della sua inanità/Nel guscio inerte dell’indifferenza/s’involve, s’imbriglia nell’oscurità/nell’arida assenza di umanità/Non discerne, né palpita/immobile resta/con la squallida sua vacuità/La voce dell’altro non sa cosa sia/non coglie e respira la melodia/il suo qualunquismo/gli offusca il mattino/incombe la sera che alba non ha/Si ride o si piange/a lui non importa/sbarra l’accesso alla realtà/La faccia priva di ogni contorno/immerge nel fango della meschinità/La strada percorsa/è fatua, è brulla/l’indifferente sprofonda/nell’abisso del nulla/.
Persuadersi che ognuno basti a se stesso è velleitario; tutti abbiamo bisogno di tutto e di tutti, poiché il vivere non è un soliloquio, un monologo, ma un rapporto interagente, una peculiare sinergia. Non si può costringere ad amare, è palese; l’amore è un donare gratuito che non richiede ricompensa, lontano da coercizione. L’amore, è vero, nella sua più ampia accezione, coinvolge tutti gli aspetti del reale, fino a tramutarsi in pathos : “E da allora sono perché tu sei/e da allora sei/sono e siamo/e per amore, sarò, sarai, saremo” (P. Neruda) o, addirittura, in estasi. In entrambi i casi custodisce quel suo potere segreto che appare quasi inspiegabile, insondabile.
Ma l’amore-dono, cifra gaudiosa dell’esistente va, comunque, coltivato, alimentato, come segno dell’essere e del divenire, dell’immanente e del trascendente, dell’umano e del divino. “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuove e crescenti” dichiarava E. Kant, “il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”.
Senza la pretesa di impartire lezioni, dettare canoni, pronunciare sentenze, l’auspicio è quello di foggiare un modus vivendi, guidato, sorretto, vivificato dalla forza dell’amore, come profferta sincera di fratellanza, amicizia, solidarietà : Parla con me/non voltarti indietro/non cercarmi negli spazi lontani/nell’ieri o nel domani/sono qui, dinanzi a te/ nel presente mattutino/che risveglia il nuovo giorno/fra l’andata e il ritorno/Non temere del tuo dire/non aver paura del fare; tu a me puoi raccontare/il brivido nascente/il sorriso latente/il passo lento e greve/la corsa veloce e leve/Ti domanderai chi sono:/una persona come te/col suo agir quotidiano/giusto o errato, non si sa,/ma guidato dalla sincerità/Val la pena dare un senso alla vita/evitar che sia svilita/Intendi? Sono pronta/ ad ascoltare ciò di cui mi vuoi parlare/voglio esserti solo amica/offrirti solidarietà infinita/Costruiamo un dialogo fra noi/quando e come vuoi/Sto bussando alla tua porta/Parla con me/concedimi di intender il tuo pensiero/entrambe non siamo un miraggio/ma del sole un semplice raggio/Con spirito ecumenico/ e semplicità francescana/creiamo un’armonia d’intenti/nel segno della verità/col coraggio e la forza dei vincenti/.