GINGER
Ginger viveva a Central Park. Era agile, di piccole dimensioni e mostrava una lunga coda, piatta e rossa, ricoperta da folto pelo, ripiegata sul dorso, che le consentiva di bilanciarsi nei voli sugli alberi e lo riscaldava come una sciarpa durante il sonno. La pancina era coperta da pelo bianco, che ne esaltava le forme eleganti. Occhi grandi e neri, allungati verso le grandi orecchie, completavano la bellezza della simpatica scoiattolina. A terra procedeva a zig zag, per non farsi afferrare dai male intenzionati. Impiegava la maggior parte del tempo a cercare cibo: iniziava l’attività all’alba e finiva al tramonto. Masticava germogli, fiori, foglie, gemme, frutti e funghi. Si occupava anche del nido, preparato con foglie secche, muschio e pezzetti di corteccia. Ritta sulle zampette posteriori, chiedeva cibo alle persone che passeggiavano, facevano footing, andavano in bicicletta, pattinavano o erano sedute sulle panchine o sull’erba intente ai picnic. Prendeva il nutrimento dalle mani, si allontanava di poco e lo mangiava con avidità. Se disturbata, emetteva un grido acuto. Era in perenne competizione con lo scoiattolo Grey, parente di Cip e Ciop, un furbetto più grande di taglia, aggressivo e pericoloso per lei ma amabile con gli uomini, che aveva una notevole memoria. Scovava e divorava, infatti, tutte le riserve accumulate da Ginger nelle cavità degli alberi. A nulla valevano gli artigli affilati di quest’ultimo, Grey prevaricava sempre. Non solo: assaltava anche tutti i nidi degli altri animali, per sottrarre loro le scorte. Per fortuna, alcuni semi dimenticati crescevano e si trasformavano in piante. La specie forte, a cui apparteneva, vinceva su quella debole degli scoiattoli rossi, che soccombevano fino a morire. Grey era, infatti, anche portatrice di un virus letale solo per i suoi avversari. Ginger era amica di Madeline, una bambina paffutella, con nastri di pizzo intrecciati fra i biondi capelli, che le donava ciliegie, fragole e mirtilli, mentre nel cielo volavano farfalle colorate, uccelli dal becco rosso e piccoli aironi. Nella luce radiosa del mattino, si divertivano insieme, rincorrendosi con gioia nei prati di Great Lawn. Una domenica la piccola la attese invano. Il suo sguardo si incupì per il dolore e la rabbia, poi, per cercarla, decise di affrontare un lungo cammino da Manhattan fino ad Harlem. I giorni diventavano sempre più tristi, della scoiattolina nemmeno l’ombra. Un pomeriggio, nei pressi di un laghetto artificiale, incontrò una vecchina molto affamata, le offrì il muffin che stava per mangiare e qualche soldino riposto in tasca. “Sei molto buona, sarai premiata per la tua generosità, prendi questa noce, unica mia ricchezza”, mormorò la donna e scomparve in una nuvola dorata. La bambina capì di aver incontrato una fata. Ad un tratto ebbe un sussulto: le parve di vedere lo scoiattolo. Sì era lei: la sua testina sbucava, guardinga, dalla fessura di un albero. Ginger aveva partorito quattro cuccioli. Madeline li chiamò Abner, Ace, Ben e Chaz. “Non preoccuparti, il tuo nemico non ti assalirà più! Ti dono questa noce fatata, che si riprodurrà sempre. Potrai nutrirti insieme ai tuoi piccoli. Il suo profumo sottile allontanerà tutti gli scoiattoli grigi”, esclamò con un largo sorriso. Aveva, finalmente, altri amichetti con cui giocare.