Il gatto: la misteriosa creatura immortalata nella letteratura e nell’arte
La Campania lo celebra con La Gatta Cenerentola
Da quando il gatto fa parte della vita dell’uomo, scrittori e artisti hanno incominciato a immaginare, scrivere e ritrarre questo felino affascinante e enigmatico. Le favole e le fiabe che lo vedono protagonista provengono da tutti i paesi del mondo: dalla Grecia, dall’antica Roma, dal Giappone, dalla Russia, dalla Scandinavia, dalle Americhe, dall’Africa. I primi a narrarne l’indole sono stati gli scrittori di favole Esopo e Fedro, l’uno greco, l’altro latino. Del gatto, ritenuto una divinità dagli Egiziani e dai romani un alleato per la caccia ai topi, scriveranno anche lo storico greco Erodoto, l’oratore latino Cicerone, il filosofo naturalista Plinio il Vecchio. Esopo ne studia il carattere, con allegorie concernenti i difetti del genere umano.
Ricordo la favola dal titolo Il gatto e i topi, dove il saggio non si lascia ingannare dall’aria innocente di chi già una volta è risultato pericoloso. Non esiste alcun rapporto affettivo: il gatto è visto come un furbo brigante che convive con l’uomo per reciproco accordo, cacciare i topi in cambio di cibo e di un giaciglio. Famosa è la favola di Fedro Il gallo, i gatti e la volpe. Un gallo ha come domestici dei gatti da cui si fa sorreggere in portantina. Una volpe lo mette in guardia sui suoi servi che hanno l’indole di predatori. Appena la compagnia dei gatti inizia ad avere fame, sbrana il padrone e si divide le parti.
Nel Medioevo il felino è ritenuto una creatura demoniaca e numerose sono le superstizioni a lui legate; è ignorato anche nei testi. Nel Trecento i poeti elaborano versi sulla sua figura. Francesco Petrarca, ritiratosi in vecchiaia sui Colli Euganei, trova sollievo solo nella compagnia della sua gatta a tre colori di nome Dulcina. La menziona in una lettera a Giovanni Boccaccio, in cui comunica che Laura e il felino si contendono lo scettro del suo cuore. La cita anche il Tassoni ne La secchia rapita, in cui descrive anche la casa di Arquà.
Dal Rinascimento in poi la natura sfuggente del gatto suscita piena simpatia nel mondo dell’arte e della letteratura: è animale da compagnia ed è di moda possederne uno. Torquato Tasso, ridotto in miseria, dedica un intero sonetto alla sua gatta, implorando in dono un po’ di luce dei suoi occhi splendenti. Lope De Vega, drammaturgo spagnolo, crea una Gattomachia in 2500 versi.
La Campania dà un enorme contributo alla descrizione del gatto nella fiaba. Il gatto con gli stivali, fiaba resa famosa da Johann Ludwig Tieck, deriva da una fiaba di Giambattista Basile dal titolo Cagliuso, storia di un gatto sapiente che aiuta un poveruomo a fare fortuna. Questi è figlio di un pezzente che gli regala il misero lascito di un felino. Il gatto, astuto al pari di una volpe, regala al re cefali e orate, capinere e cingallegre. Il suo padrone sposerà la principessa, diventerà un gran signore, ma, ingrato, dimenticherà il bene che l’animale gli ha donato. Ne Lo cunto de li cunti leggiamo in un napoletano secentesco La Gatta Cenerentola, una delle redazioni più note della fiaba di Cenerentola, racconto popolare tramandato in centinaia di versioni provenienti dai diversi continenti. Basile recita le fiabe nelle corti italiane, attingendo a diversi generi letterari orali, densi di novelle e facezie, raccolte nella città di Napoli nelle zone di Posillipo, del Vomero, di Antignano. Frequenta, altresì, l’Accademia degli Oziosi a Napoli, i cui membri si riuniscono nel chiostro della chiesa di Santa Maria a Caponapoli. Benedetto Croce e Vittorio Imbriani saranno suoi grandi estimatori. Croce scriverà un libro dal titolo La filosofia e i gatti.
In un racconto di Imbriani comparirà il Gatto Mammone che, secondo la tradizione campana, è il re dei felini. In epoca contemporanea Roberto De Simone metterà in scena La gatta Cenerentola, opera teatrale musicata in tre atti.
In La Fontaine la figura del gatto è immutata: è un ladro senza pietà per le prede, rappresenta personaggi ipocriti, falsi e fannulloni. Il favolista francese Charles Perrault, accademico di Francia, traduce in francese La Gatta Cenerentola, ne cambia alcuni temi e ne rivoluziona l’indole nella fiaba Il gatto con gli stivali, nata alla corte del Re Sole. Il gatto è galantuomo, parla con gli uomini, è intelligente ed usa questa qualità per il bene del suo padrone che, grazie ai suoi stratagemmi diventa il Marchese di Carabà. Diversi anni dopo i fratelli Grimm, filologi, riprendono sia la favola di Basile, sia quella di Perrault e le pubblicano nella raccolta Le fiabe del focolare.
Shakespeare menziona con simpatia i gatti nelle sue opere, basti pensare all’Enrico V.
Nel 1825 la voce del gatto diventa musicale nel componimento attribuito a Gioacchino Rossini Duetto buffo di due gatti. Master’s cat è il dispettoso felino di Charles Dickens, che spegne con la zampa la candela sulla scrivania del padrone.Nel 1843 Edgar Allan Poe scrive Il gatto nero, ritenuto compagno di giochi preferiti ma, in seguito, incomincia a bere e lo acceca con un temperino. Con il passare dei giorni la sua vista lo irrita e lo impicca ad un albero. La notte scoppia un incendio che fa crollare la sua abitazione.Il protagonista resta inchiodato alle proprie colpe, preda delle ossessioni. Lo scrittore russo Anton Cecov ne La gatta di Colette narra la storia di Saha, un Blu di Prussia, che conquista il cuore del padrone.
Kipling ci comunica che il gatto è il più selvatico degli animali selvatici.
Nei versi di Charles Baudelaire traspaiono analogie tra la sensualità misteriosa della gatta e il fascino delle donne. Guy De Maupassant lo delinea come un essere voluttuoso. Victor Hugo costruisce una cuccia simile ad un trono per il suo Canonico. Nel 1865 il felino compare per la prima volta nel fantasy “Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie” dell’inglese Lewis Carrol. Per quanto riguarda la tradizione italiana, il gatto è un animale assente dalle fiabe, tranne che in Pinocchio. I due ladri che lo truffano sono il gatto e la volpe. Nel Novecento Italo Calvino nella sua trascrizione di fiabe popolari ci propone La fiaba dei gatti.
La morale è che, a trattarli bene, si ricevono ricchezza e fortuna. Nell’epoca moderna il felino è entrato nei cartoni animati per bambini. Gianni Rodari scrive Il topo che mangiava i gatti, dove un topo di biblioteca mangia i gatti che sono illustrazioni dei libri. Elsa Morante delinea le attitudini della sua Minna. Ne la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, Luis Sepulveda racconta al gatto l’entusiasmo per l’elezione del Presidente Allende. E i più grandi maestri della pittura?
Leonardo da Vinci dedica studi alla sua figura fissandone, attraverso il disegno in bianco e nero, gli aspetti comportamentali. Nel Settecento Gaspare Traversi, allievo di Francesco Solimena, dipinge Bambina che accarezza un gatto, dove quest’ultimo è simbolo di imprevedibilità e carattere infido.
Nell’Ottocento compare in Europa il gatto persiano: gli impressionisti lo mettono al centro delle loro scene, lo dipingono tra le braccia di fanciulli e dame. Renoir nel Ragazzo con il gatto ci mostra una creatura coccolosa. Nel 1896 Thèophile Alexandre Steinlen, famoso illustratore, è autore del manifesto Tournee du Chat Noir del famoso locale di Montmartre. Picasso descrive soprattutto felini che divorano una preda come in Gatto che mangia un uccello. Preludio della guerra civile spagnola? Henri Matisse dipinge nel 1914 Gatto e pesci rossi: i gatti immortalati nelle sue opere si chiamano Minouche e Coussi. Nel 1928 Paul Klee rappresenta in un olio su tela il Gatto e uccello. I suoi preferiti sono Fripouille e Bimbo, il primo nero, il secondo bianco. Negli Anni Cinquanta Andy Warhol condivide l’appartamento di New York con oltre 20 gatti; i preferiti sono Hester, Yutti e Sam protagonisti di una serie di litografie sul tema. I 40 gatti di Ai Weiwei, stilista e regista, si muovono attorno al suo studio a Pechino ed uno sa addirittura aprire le porte. “Un gatto capace di aprire una porta, non la chiuderà mai dietro di sé”, afferma convinto l’artista.