Turnammo a accummincià: ‘A scola ‘e mo
Portalo a’ scola e portalo p’ ‘ a mana:
‘e libri a ninno nun ce fa’ manca’…
dille che papà suio sta luntano…
Mi torna alla mente un’antica canzone particolarmente impregnata di retorica e suadente all’impegno civile e militare.
Non mi è dato di sapere, se quei versi e note che ebbero una vasta diffusione popolare, non certamente frutto del profondo sentire della gente comune, ma proposti con l’intento di educarla all’alfabetizzazione e all’amor patrio, siano frutto d’invenzione “poetica” o ispirati alla cronaca vera.
Per un più incisivo effetto venivano proposti in lingua napoletana, questa la dice lunga per il nostro meridione, e diffusi come scritti da un padre, tardivamente pentito, restio a servire la Patria, poco ligio al dovere educativo e formativo dei figli. Forse era pronto a sacrificarsi per loro, sgobbando come una bestia da soma, ma aveva idee poco chiare sui valori che un tempo miravano a formare i cittadini nel rispetto delle leggi dello Stato, che è Uno per tutti, e dei Cittadini, che sono Tutti per Uno. Per farla breve, negli anni tra due guerre, si faceva leva sulle suggestioni emotive, sui sentimenti elementari, per convincere gli analfabeti ad affidare i bambini alla scuola dell’obbligo, dissuadendo intanto dalla diserzione i già condannati, a vita, alle più umilianti e dure fatiche.
Un padre di famiglia aveva scelto di farsi disertore e dal carcere militare raccomandava a sua moglie di provvedere all’educazione del figlio fanciullo, data la sua assenza, temporanea o definitiva. In quei tempi le punizioni per renitenti alla leva erano regolate dalle leggi di guerra. Quell’uomo nella solitudine di una cella aveva avuto tutto il tempo di riflettere sul senso dei diritti e dei doveri, ma soprattutto sulla necessità dell’istruzione che libera dall’ignoranza e quindi rende degni di partecipare alla produzione delle idee, dialogare e sostenere progetti che civicamente difendono la vita con qualità. Che valori proponeva e quali effetti sortì quella canzone sui cittadini analfabeti, lontanissimi dai valori democratici? I sudditi erano obbligati a sopportare la retorica, addirittura accorata e paternalistica, delle imposizioni inappellabili, quando si faceva conoscenza in trincea. Le varie, non facilmente comprensibili lingue regionali, avevano cominciato a confluire nella lingua che unificava l’Italia: era necessario che diventassero consonanze le tradizionali dissonanze dello Stivale.
I cittadini, forzati a diventare tali, cominciarono lentamente a capire che c’era una notevole differenza tra erudizione e cultura, che la comunicazione, allargata e condivisa in una progressiva civiltà, poteva avere esiti di accesso alle concrete aspirazioni di produrre idee, difenderle e confrontarle per risolvere dialetticamente i conflitti di parte.
Insomma nelle note conclusive quella canzone, che per me rimane senza autore e titolo suona così: “ Io ca so’ stato ‘nfamo e disertore/ voglio ca ‘o figlio mio cumbatte e more”. Mi son tornati alla mente dei versi in musica che le mamme delle nostre mamme cantavano, perché la memoria storica non si perdesse. Le nostre mamme li hanno a loro volta cantati per noi, tanti e tanti anni fa fanciulli, per farci rendere conto dei progressi dovuti all’istruzione obbligatoria, alla cultura praticabile, ai frutti della scienza e della tecnologia che ora ci esigono consapevoli e partecipi. Quando le svolte epocali incalzano irrisolte e si progetta nei progetti in fase d’attuazione, bisogna che le nuove generazioni si preparino e adeguino alle ineludibili e non allettanti prospettive sociali e industriali. Quelle sul piano innovativo esigono cultura, specializzazione, formazione delle risorse umane, strategie tecnologiche, attività competitive efficacemente rapide.
Molti dei collaboratori a Buongiorno Napoli si son fatti le ossa nel mondo della Scuola; confrontano le emozioni da loro provate, nel corso di una vita di lunga pratica didattica, con quelle degli alunni che, nel primo difficile ventennio del duemila, dai primi accessi crescono e ascendono verso la sospirata maturità scolastica e le specializzazioni necessarie per accedere alle sempre più versatili prospettive di lavoro cui adeguarsi. Chi se le inventa risica e forse rosicchia; i meno fortunati accedono a tempo indeterminato a quello che trovano e non degnano più di uno sguardo le incorniciate lauree con lode. Intanto la buona volontà accende vocazioni bucoliche e i ritorni alla divina campagna offrono prospettive di rischi e sacrifici lieti.
All’inaugurazione di ogni anno scolastico noi e i nostri amici, come tutti i genitori che tremano per l’avvenire dei loro figli, ci rendiamo conto dei molti disagi che alunni, studenti e neo universitari devono affrontare, soprattutto perché all’impegno profuso seguono pietre d’inciampo, barriere, esclusioni e non corrispondono adeguate aspettative. L’Italia esporta laureati esperti pizzaioli ed è un grande merito, ma non si contano i delusi che, specie dove l’economia è più carente, rischiano la sfiducia e mali di gran lunga peggiori. Buon nuovo anno scolastico a tutti quelli che ascendono lungo il non agevole cammino dell’istruzione. Sappiano che i veri Maestri, Docenti, Chiarissimi professori sono pensosi del loro destino. Se ne rendano conto, li apprezzino e li seguano, perché tra disagi burocratici e difficoltà, dovute soprattutto ai disastri economici della nazione oltre misura indebitata, fanno pratica didattica e soprattutto volontariato impegnato tra allegrie di naufragi. La scuola della strada è distante da quella della Scuola, che resta l’unica insostituibile, valida per la società degli uomini che con l’impegno mirano responsabilmente a conquistare la qualità della vita.
Buon nuovo anno scolastico, bambini, ragazzi, giovani che mai dovete rinunciare alla speranza in un mondo in cui si fatica ad essere uomini.
Angelo Calabrese